Si dice che il conflitto sia insito nella natura umana, a volte in modo sottile, quasi invisibile, altre in maniera palese.
In pratica, viviamo immersi nel conflitto.
Siamo in conflitto con il mondo esterno, ma anche con quello interno, poichè in una società che invita alla competizione e che misura il valore delle persone attraverso parametri esterni: il successo, la visibilità, il denaro, la produttività.. siamo sollecitati quotidianamente a confrontarci con gli altri e con una realtà che ci vede impegnati a puntare alla perfezione, sottoposti costantemente al giudizio altrui.
In questo modo entriamo in una dinamica di tensione sempre attiva, ed è inevitabile. L’avvento dei social che entra in maniera invasiva nella vita quotidiana delle persone ha amplificato questo il tema.
E in effetti, quanti pensieri, ansie, sensi di inadeguatezza nascono proprio dal paragone con modelli esterni, con un’idea di come “dovremmo essere”.
Quante volte ci ritroviamo prigionieri di confronti silenziosi, che si insinuano mentre guardiamo una collega sicura di sé, una madre apparentemente perfetta, qualcuno che mostra una vita più piena e ordinata della nostra? Con più amici, più inviti a occasioni trendy?
Il confronto non è solo personale, oggi è anche e soprattutto sociale.
Fin da giovani veniamo educati a eccellere: le scuole premiano i migliori, il lavoro seleziona i più performanti, il sistema divide i “meritevoli” dagli “esclusi”, senza tenere conto delle caratteristiche individuali e delle qualità autentiche della persona.
Ci viene insegnato a confrontarci sin da piccoli, come se il nostro valore potesse esistere solo in relazione a un altro, e in questo scenario, il confronto non è più uno specchio che potrebbe aiutarci a migliorare, ma diventa una trappola.
Questo tipo di educazione non ci aiuta a vedere meglio le parti di noi da migliorare, ci fa vedere solo ciò che ci manca.
Nei miei studi ho potuto valutare e appurare che lo stesso confronto potrebbe avere due aspetti opposti: c’è una differenza sostanziale tra il confronto che illumina e quello che spegne.
Quando nasce da uno spazio interiore di curiosità, il confronto può diventare una lente che ci aiuta a crescere, che aumenta la visione del mondo e di noi stessi e amplia gli orizzonti.
Quando invece nasce dalla mancanza, dalla paura o dal bisogno di approvazione, quando praticamente sollecita un bisogno inconscio, che sia emotivo o psicologico, ci allontana da noi stessi.
E finiamo per guardare la vita degli altri come un metro per giudicare la nostra.
Tuttavia, come sostiene Aristotele, il confronto è essenziale, essendo l’uomo un animale sociale, la sua formazione deriva dalla relazione e quindi anche dal paragone. Il problema sorge quando ci identifichiamo troppo nell’altro, quando “desideriamo ciò che desidera l’altro” come dice Girard.
In questo modo il confronto uccide l’individuo…Si crea una narrazione implicita: “Se l’altro vale, allora io valgo meno” e in questa logica perversa, l’unico modo per affermarsi è entrare in opposizione, quindi creare un conflitto.
E, purtroppo, il conflitto in assenza di consapevolezza, non viene elaborato, degenera in polarizzazione: noi contro loro, giusto contro sbagliato, buoni contro cattivi. Così smettiamo di ascoltare e iniziamo a difendere il nostro ego o il nostro gruppo a ogni costo. E questo genera lo “scontro”, quello a senso unico, quello che non ci fa crescere, ma ci fa implodere in un contesto di rabbia e risentimento.
Si evince che il confronto, se vissuto da uno spazio di ferita, è la soglia del conflitto generante lo scontro.
Ma se impariamo a riconoscerlo prima che diventi scontro, può diventare una via preziosa di trasformazione.
Il conflitto non è un errore da evitare, ma un momento necessario nello sviluppo dello spirito e della coscienza.
Nel suo capolavoro Fenomenologia dello Spirito, Hegel descrive il processo attraverso cui la coscienza evolve e si trasforma attraverso confronti e contrasti. Il filosofo affermava che il conflitto può diventare palestra di evoluzione per la coscienza.
Tuttavia, devo dedurre che, in società altamente traumatizzata, costituita da soggetti per lo più inconsapevoli, i conflitti generanti scontri, sono all’ordine del giorno. E questo può diventare un modo per esercitare il potere sul popolo, come sosteneva Foucault.
Nessuno ci insegna a stare nel conflitto in maniera sana e costruttiva, veniamo istigati a dividerci in fazioni, togliendo la parte empatica ed evolutiva dell’esperienza. Questo ci porta a subirlo, il confronto, e non ad accoglierlo per quello che è, un momento di ampliamento di vedute, che potrebbe aiutarci ad attivare la nostra parte empatica, anche se si sviluppa in un conflitto.
Imparare a stare nel conflitto, gestire il confronto in maniera consapevole, ci rende più liberi della massa. La nostra autenticità si svelerà e non saremo più chiamati a doverci difendere a tutti i costi. Potremo così sostenere le nostre verità, i nostri punti di vista, in modo costruttivo, senza perdere l’ascolto dell’altro, e approfittando per indagare meglio quegli angoli bui della nostra personalità non ancora conosciuti.
Osservare dove il confronto va a generare conflitto, e notare come diventa scontro, è l’inizio di un processo di guarigione di parti ferite a cui non avevamo dato abbastanza importanza.
Si chiariranno i nostri valori essenziali, e allora il confronto può trasformarsi…
Da nemico silenzioso a strumento di consapevolezza.
Da giudice severo a maestro gentile.
Ma solo se impariamo a tornare a noi stessi, ogni volta.
Nei miei percorsi ho sempre dato valore alle motivazioni che ci spingono ad agire in un modo o a reagire per situazioni disturbanti, la miglior cura per evolverci da una situazione scomodo è quella di viverla fino in fondo, senza paura e senza giudizi.
Comprendere questo legame tra confronto e conflitto ci aiuta a stare più presenti e a chiederci:
Sto entrando in competizione perché desidero qualcosa o perché temo di perdere qualcosa di me?
Testo a cura di Serena Tracchi
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