Poco tempo fa ho parlato della rabbia con una cara amica, discutendo della difficoltà che si ha nel “gestirla”.
Credo sia un tema molto ricorrente tra le persone. La gestione della rabbia è una delle cose più difficili da imparare nella crescita personale, ma è inevitabile, e soprattutto è necessaria per il cammino spirituale.
Non voglio fare un trattato su questa potente emozione, perché c’è tanto da leggere e di autori più competenti di me in materia, ma voglio condividere la mia visione sulla rabbia.
Ci sono meccanismi che “fanno scattare” la rabbia, ognuno ha i propri. E’ ricorrente averne paura, perché la rabbia, in genere, sfocia nell’aggressività e questo spaventa, sia chi la subisce, sia chi la manifesta (se non propriamente di indole rabbiosa) ed è un’energia che si fa fatica a direzionare.
Con un lavoro individuale e di conoscenza, però, è possibile conoscerla e integrarla come strumento di evoluzione personale.
Non saranno del tutto d’accordo i buddisti che vedono la rabbia come un’emozione negativa che va trasformata in compassione; non me ne vogliano, ritengo che, come tutte le altre emozioni, sia uno strumento che abbiamo e che dobbiamo solo imparare a riconoscere e utilizzare.
La rabbia, infatti, è un elemento fuoco che ha la capacità di trasformare già di per sé le situazioni, in che modo però lo scegliamo noi. È l’elemento della fucina interiore che può attivare i processi di risoluzione di alcuni fattori stagnanti. Perché è una forza che si può direzionare per mantenere saldi gli obiettivi, oppure diventa distruttrice di qualsiasi cosa le passi vicino.
All’inizio di un cammino spirituale o di semplice evoluzione personale, ci si scopre pieni di rabbia, perché nasce dalla percezione di ingiustizia, violazioni dei propri diritti o frustrazioni, e solitamente ne abbiamo parecchi di questi fardelli; inoltre è anche un meccanismo di difesa: può proteggere emozioni più vulnerabili come la stessa paura o senso di impotenza.
Con il passare del tempo, proseguendo il cammino di consapevolezza, tutti questi attaccamenti e pesi piano piano vengono rilasciati e superati, pertanto, le occasioni in cui arrabbiarsi diminuiscono, perché gli eventi della vita sono vissuti con una coscienza diversa. La gestione della rabbia implica consapevolezza delle distorsioni cognitive e dei meccanismi che si attivano con valutazioni e interpretazioni degli eventi scatenanti, influenzate da schemi personali e sociali.
Ricordo di un episodio che mi fece molto dispiacere, ma anche molto riflettere.
Durante una giornata di un percorso di formazione personale, la conduttrice, parlando di dinamiche di gruppo, mi indicò come persona che inibiva la rabbia e dava per scontato che non volessi manifestare i miei disagi nei confronti degli altri, a tal punto da far sì che altre persone più sensibili si caricassero anche del peso che il mio silenzio al riguardo procurava.
Rimasi in ascolto, seppur scossa, di ciò che mi veniva detto, ma davvero non provavo rabbia nei confronti di nessuno, nemmeno nei suoi che mi prendeva in causa per una cosa che non mi appartiene. Quello che provavo poteva essere fastidio, disagio, ma non rabbia.
Ci ho riflettuto tantissimo dopo quell’episodio, perché non riuscivo a comprendere come mai davo questa impressione di inibizione emotiva.
Solitamente, ora, mi arrabbio solo per le cose importanti, perché la rabbia brucia energie e nel tempo ho imparato a gestire tutte le riserve. Arrabbiarsi per cose poco importanti, che non ledono la mia persona non ha senso. Inoltre, prima di arrabbiarmi con qualcuno per una cosa detta o fatta, dentro di me inizia un processo fatto di domande che mi permettono di capire se vale o meno la pena di arrabbiarsi e discutere, e il più delle volte la risposta è no!
Così ho provato a osservarmi dall’esterno. Questo mio comportamento è difficile da comprendere in una società che ci fa stare sempre in competizione, e che non ci insegna a riconoscere e a gestire le emozioni, ma che ci induce alla colpa nel momento che le proviamo e le esterniamo (perché non si fa!)
L’episodio non finì così, perché per fare contenta la conduttrice del corso, (e ho imparato che accondiscendere per accontentare non è sempre la via più semplice) ho esposto un episodio avuto con un’altra persona del gruppo che mi diede fastidio al momento, e cercai però di spiegare che dopo valutazioni interiori, ritenni non così importante da provare quella rabbia tanto ricercata; sicuramente la collega aveva toccato delle corde mie interne su cui poi lavorai per conto mio, quindi in quell’occasione non ebbi l’istinto di reagire, perché in realtà la collega aveva solo espresso un suo punto di vista, un po’ negativo, su un mio lavoro, in maniera cortese e diretta, era libera di poter non ritenere un mio lavoro idoneo. Nel farlo non aveva mancato di rispetto a me e a miei valori.
Questo mio atteggiamento, non fu visto come un lavoro interiore, ma fu interpretato come incapacità di esprimere i sentimenti.
Questo accanimento mi finalmente mi fece provare rabbia, ma prima di scatenare l’inferno, ecco il lavoro che feci.
Non avendo più bisogno di capri espiatori per essere ciò che sono, ho cercato di vedere la situazione dall’esterno, come se non fossi coinvolta. Ho valutato le intenzioni, ho visto i meccanismi innescarsi, i miei e i suoi, anzi grazie a questo evento ho notato altre mie convinzioni limitanti da scardinare.
Ho dato un volto alla mia rabbia, e ho iniziato un dialogo per capire cosa l’aveva scatenata, le vere ragioni, non le apparenti, e ho compreso cosa manteneva attivi i giochi egoici in cui scivolavo in questi casi.
Ho infine ringraziato quella parte di me arrabbiata per avermi illustrato le sue motivazioni e l’ho integrata, sapendo che fa parte di me, ho mediato con lei per trovare una soluzione nel caso fosse accaduto di nuovo.
In sintesi, quella parte arrabbiata soffre di mancato senso di ingiustizia e di ferita da umiliazione, si è sentita umiliata per essere stata giudicata “con accezione negativa” davanti al gruppo. Tuttavia, la generatrice di rabbia era ed è oggi, una parte di me piccola, perché la convinzione di non essere come mi stavano dipingendo, ha fatto in modo che prevaricasse sulla parte arrabbiata, ma ho imparato che esiste e che si attiva con determinati schemi.
Da quel giorno, ho una consapevolezza diversa che mi sta abituando sempre di più a gestire anche quella parte.
Questo lavoro su di me l’ho acquisito col tempo, con lacrime, e con tanta determinazione e so che non è ancora finito, anzi penso sia infinito, ma comprendo che sia difficile per la maggior parte delle persone anche solo pensarlo.
L’altra domanda, infatti, che mi viene posta al riguardo è
“Quindi ora non ti arrabbi più?”
Certo, altroché che mi arrabbio! Solo che il più delle volte non la manifesto come solitamente si è abituati a vedere la rabbia. La rabbia è un campanello di allarme. Se mi arrabbio significa che qualcosa ha toccato delle corde sottili dentro di me. Istintivamente mi ritraggo, il mio corpo si mette in condizione di attacco o fuga come qualsiasi altra persona, ma poi tengo le briglie ben strette e dirigo io il calesse, non lascio che sia il cavallo imbizzarrito a trainarmi dove vuole rischiando di farci “ammazzare”. E questa presa di potere interiore si trasforma in fermezza e severità.
Quando mi arrabbio si accende la fucina e la fiamma divampa, ed è qui che molti cascano, non domano il fuoco. Io sto imparando a domarlo sempre più; poi prendo tutte le componenti che ho raccolto nella situazione e li metto a distillare.
L’energia mi serve per portare a termine l’obiettivo che generalmente è trovare una soluzione per cambiare: mettere limiti di protezione, imporre le mie condizioni e mediare, trovare soluzioni alternative che risolvano la mia arrabbiatura.
Il lavoro è tanto, l’energia impiegata è moltissima, quindi bisogna che davvero ne valga la pena arrabbiarsi. Perché, se capisco che è solo una questione di attaccamento egoico, lavoro su di me, cresco e risparmio energia.
Spero che il mio piccolo accaduto possa aver chiarito cosa succede il più delle volte quando si innesca la rabbia.
Ci sono tanti esercizi che si possono fare per allenarsi a gestire questa potente emozione, se interessano potete scrivermelo nei commenti e provvederò a scrivere un articolo dedicato.
Non abbiatene paura, guardatela in faccia e trovate un buon compromesso affinché possa aiutarvi a migliorare la vostra vita.
Buona vita!
Foto di Claudio Szatko da Pixabay
Testo a cura di Serena Tracchi
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